Published 29/09/2022
A cent'anni dalla presa del potere di Benito Mussolini, ricordiamo le principali date del Ventennio.
Di Anna Schergna
Gli antefatti. Il primo dopoguerra
La prima guerra mondiale è per la giovane Italia, unificata da appena 50 anni, la prima vera esperienza di massa. Per la prima volta nord e sud, borghesi e contadini sono uniti da un destino comune; per la prima volta molte donne d`Italia lavorano fuori casa al posto degli uomini. Ma con l'armistizio la carica propulsiva del cambiamento si riassorbe in fretta, lasciando dietro di sé un Paese lacerato, seppur, almeno formalmente, vincitore. Il conto presentato all'Italia dal primo conflitto mondiale è drammatico non soltanto in termini di perdite umane: si deve fare i conti con il reinserimento dei reduci, il ricollocamento di migliaia di profughi, la riconversione delle fabbriche e un'ingente opera di ricostruzione. Il tutto in uno scenario di depressione economica senza precedenti: nel corso della guerra la lira aveva perso gran parte del suo valore e, mentre il costo della vita aumenta, le casse statali semivuote devono far fronte a pressanti debiti contratti con gli Stati Uniti, dai quali dipendono le importazioni di grano e carbone.
C'è poi la ferita morale: il sorgere del Regno di Jugoslavia oltre le frontiere orientali, con l'acquisizione di territori promessi all'Italia nel Patto di Londra, è stato uno smacco all'onore del Paese, e in un clima di malcontento e assoluta precarietà i circoli dannunziani soffiano sul fuoco dell'onta della “vittoria mutilata”, che seduce un'opinione pubblica delusa e in cerca di risposte. Con centinaia di migliaia di disoccupati dell'industria di guerra e altrettanti soldati smobilitati, gli attriti fra le masse – operai da un lato, ex-combattenti dall'altro – sfociano nella crescita del Partito Socialista Italiano, di cui una frangia minoritaria guarda al successo della rivoluzione bolscevica. A destra, intanto, le formazioni interventiste contestano i trattati di pace. Lo Stato italiano si trova dunque sotto attacco dall'estero, con le potenze alleate impegnate a ridimensionarne la vittoria bellica, dalle formazioni socialiste e sindacali, che organizzano durissime campagne di scioperi e occupazioni, e infine dalle formazioni nazionaliste, la cui contestazione culminerà con l'impresa di Fiume, nel settembre 1919.
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Genesi del fascismo. I Fasci di Combattimento
Gli sforzi del giornalista Benito Mussolini, reduce dell'11° Reggimento Bersaglieri, di imprimere una svolta rivoluzionaria alla guerra, si concretizzano nel raduno di Piazza San Sepolcro a Milano, sei mesi dopo il termine del conflitto. I Fasci Italiani di Combattimento, questo il nome che il piccolo gruppo di reduci, sindacalisti rivoluzionari, futuristi, anarchici e intellettuali interventisti adotta, fa sfoggio di un programma al contempo nazionalista e socialista, assistenzialista e giustizialista. Il gruppo adotta i simboli che in tempo di guerra furono identificatori degli Arditi, il reggimento d'assalto del Regio Esercito, come il teschio e la camicia nera. Quello dell'inizio è un fascismo molto diverso da ciò che sarà una volta al governo: è anticlericale e antimonarchico, intende sequestrare i beni delle congregazioni religiose, introdurre un'imposta a carattere progressivo sul capitale, nazionalizzare le fabbriche di armi; vuole dare il voto e l`eleggibilità alle donne, una casa ai reduci, affidare la gestione di industrie e servizi pubblici alle organizzazioni proletarie. Nel presentarsi come una "terza via", che faccia fronte a due pericoli, quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra, cosí parla Mussolini: «Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente.» Se questo proto-fascismo radicale fatica a trovare consensi, sarà poi nella piccola borghesia rurale, nella provincia, che attingerà i suoi primi militanti. È in questa fase che Mussolini capisce che, per vincere, deve trasformarsi.
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Squadrismo, elezioni del 1919 e impresa di Fiume
A 20 giorni dalla fondazione, le squadre d'azione dei Fasci di Combattimento conducono l'assalto all'Avanti!, devastando la sede del giornale socialista e omaggiando il leader Mussolini, un tempo direttore del quotidiano, dell'insegna divelta. Il 23 giugno 1919 si insedia il governo Nitti, con forte malcontento fra i nazionalisti. Il 12 settembre il Vate Gabriele D`Annunzio, a capo di reparti ammutinati del Regio Esercito, occupa Fiume e vi instaura un governo rivoluzionario.
Le elezioni politiche di quell'anno, le prime a fare uso di una legge elettorale proporzionale, vedono il trionfo dei due grandi partiti di massa, quello Socialista e il neonato Partito Popolare di don Sturzo, che ottiene oltre il 20% dei voti e 100 seggi. Il movimento fascista si presenta nel collegio di Milano con una lista capeggiata da Mussolini e Marinetti, ma non riesce ad eleggere alcun rappresentante. Nonostante la sconfitta elettorale, le istanze di Mussolini riusciranno presto a esercitare una presa sempre maggiore sulla piccola borghesia agraria e artigiana, scontenta dell'operato dei socialisti al governo, troppo intenti a sanare diatribe interne e ostinati a rifiutare alleanze con i partiti “borghesi”. Dalla costituzione, in pochi mesi, di oltre 800 nuovi Fasci con 250.000 iscritti nascono allora nuove “squadracce”, così spregiativamente dette dagli avversari politici bianchi e rossi. Nel 1920 l'anziano Giovanni Giolitti, subentrato a Nitti, risolve la questione fiumana avviando con la Jugoslavia una serie di trattative che si traducono nel Trattato di Rapallo e ottiene una temporanea pace sociale interna concedendo limitati progressi salariali e mettendo un freno alle occupazioni; ma la violenta identità militare degli squadroni fascisti conferisce loro una netta superiorità negli scontri.
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1921, la svolta. Il fascismo è partito
Alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti portano in parlamento i primi 35 deputati, fra cui Benito Mussolini. Gli italiani tornano alle urne dopo appena due anni per effetto della decisione di Vittorio Emanuele III di sciogliere la Camera dei Deputati. Si tratta di una strategia politica, quella dei “Blocchi Nazionali”, voluta da Giovanni Giolitti, che vedendo la sua maggioranza traballare e temendo il neonato Partito Comunista, fondato a Livorno nel gennaio di quell'anno, si convince di dover cercare un appoggio nella destra, con l'obiettivo di creare una composita alleanza nazionale che includesse non soltanto le tradizionali forze liberali, ma anche i nazionalisti di Enrico Corradini e, soprattutto, i fascisti. È in questo periodo che al fascismo urbano e collaborazionista delle origini si aggiunge e si mescola un fascismo agrario, dal pugno di ferro, risposta di alcuni dei settori più retrogradi della società italiana. Il 9 novembre di quell'anno quello che era nato come un radicale movimento anti-partito diventa un partito-milizia. Con l'accettazione di compromessi legalitari con le forze moderate e il netto distanziamento dalla linea fondativa sancita dal programma di San Sepolcro del 1919, nasce il Partito Nazionale Fascista.
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1922. La Marcia su Roma e la presa del potere
Il 28 ottobre 1922 un contingente di migliaia di squadristi, capeggiato dai quadrumviri Italo Balbo, Emilio de Bono, Cesare Maria de Vecchi e Michele Bianchi, marcia verso la capitale. Revocando lo stato d'assedio richiesto dal dimissionario governo Facta, re Vittorio Emanuele III spalanca di fatto le porte della città ai fascisti, che entrano a Roma il 30 ottobre. Lo stesso giorno Mussolini lascia Milano per la capitale, dopo essere stato incaricato dal re di formare un nuovo governo di coalizione, che sarà appoggiato dai grandi industriali e dal Vaticano. L'errore di molti, in questo frangente, è quello di buttare in farsa ciò che era stato raccontato come una “scampagnata”, ma che di fatto marca l'inizio della fine dell'Italia liberale: complici del successo della Marcia non soltanto la miopia di Facta e l'incoscienza del re, ma l'intera classe politica del tempo, convinta che il movimento armato si sarebbe esaurito a breve. «Il fascismo è un cadavere che aspetta solo di essere seppellito», dirà Antonio Gramsci ai compagni di partito due anni più tardi. Gaetano Salvemini, nel 1923 già costretto all'estero, ritiene Mussolini preferibile a Giolitti, Bonomi e gli altri, e si augura non cada presto, perché «Mussolini si liquida da sé, è un clown».
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Verso la dittatura. L'omicidio Matteotti e le Leggi Fascistissime
Alle elezioni del 6 aprile 1924, in vista delle quali Mussolini aveva fatto approvare l'illiberale legge Acerbo, che avrebbe garantito due terzi dei seggi alla lista ottenente la maggioranza, la Lista Nazionale da lui guidata stravince con il 64,9% dei voti. Questa fase, svoltasi fra pestaggi ed intimidazioni, sarà l'unica apparente legittimazione costituzionale del fascismo. Il 30 maggio il deputato socialista Giacomo Matteotti si rivolge alla camera, dichiarando l’illegittimità del risultato elettorale. Dieci giorni più tardi sarà sequestrato e ucciso da una squadraccia capeggiata da Amerigo Dumini. L'opposizione reagisce ritirandosi sull'Aventino e si fanno pressioni al re perché destituisca Mussolini. Ancora una volta Vittorio Emanuele III non interviene, dichiarando: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e le mie orecchie sono il Senato e la Camera». L'uccisione del deputato fascista Armando Casalini da parte del carpentiere comunista Giovanni Corvi, che lo assale al grido di «vendetta per Matteotti!» il 12 settembre, contribuisce a ricompattare la maggioranza di governo.
Il 3 gennaio 1925, in un discorso alla camera, Mussolini si assume ogni responsabilità dell'accaduto: «(…) Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità (…)». Nel biennio 1925-1926 sono promulgate le liberticide “Leggi Fascistissime” ispirate dal giurista Alfredo Rocco: sono sciolti partiti e associazioni non fasciste, è soppressa la libertà di stampa e di riunione e istituito uno speciale tribunale di cognizione dei reati di matrice politica. Si rafforza la misura del confino per gli oppositori. Il parlamento è esautorato, con Benito Mussolini che cessa di essere primus inter pares e diviene responsabile solo di fronte al sovrano, i 123 secessionisti aventiniani dichiarati decaduti. L`attentato alla vita di Mussolini mentre si trova in visita a Bologna il 31 ottobre 1926, per mano del quindicenne Anteo Zamboni, è il pretesto perfetto per l'inasprimento delle Leggi per la Difesa dello Stato, con la reintroduzione della pena capitale, per rafforzare l`attività sommersa dell`OVRA e la percezione dell`onnipresenza del Duce, dominatore incontrastato della macchina organizzativa del regime. Il fascismo è diventato Stato.
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1929. I Patti Lateranensi
Il progetto di plasmare una società fascista, che regolasse le vite dei cittadini “dalla culla alla tomba”, si scontra ben presto con l'altro grande potere d`Italia: la Chiesa Cattolica. Nel 1929, dopo anni di trattative, Mussolini dimostrerà ancora una volta tutto il suo funzionalismo rinnegando il suo ateismo e il suo passato anticlericale. L`11 febbraio incontra in S. Giovanni in Laterano l'emissario del papa Pietro Gasparri, con il quale firma una serie di accordi contenenti un Trattato, una Convenzione finanziaria e un Concordato. Con l'accordo si conclude l'annosa questione dei rapporti Stato-Chiesa apertasi nel 1870 con la Breccia di Porta Pia. La Città del Vaticano è riconosciuta stato sovrano e indipendente. La dottrina cattolica è obbligatoria nelle scuole, nonché sola religione di stato. Il 13 febbraio papa Pio XI, durante un discorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore, parla di Mussolini come «uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare» e della firma come un evento che «ridà Dio all'Italia e l'Italia a Dio.». L’incompatibilità delle disposizioni dei Patti con i principi costituzionali di uno Stato pluralista porterà ad una revisione del Concordato nel 1984. Se da un lato con il nuovo protocollo la religione cattolica non è più unica religione di stato, dall`altro gran parte dei privilegi concessi alla Santa Sede non sono stati revocati, e i Patti Lateranensi regolano tutt’oggi i rapporti fra Italia e Chiesa.
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Propaganda, consenso e rapporti con le arti
Dopo un inizio liberista, segnato da privatizzazioni e limitazioni della spesa pubblica, la politica economica del fascismo spinge, a partire dal 1936, per l'inseguimento dell'autarchia, sempre con una forte vocazione consumistica, a protezione dei poteri confindustriali. Propaganda e cultura saranno incentivate a seguire le medesime direttive, sotto una cappa di censura e oppressione. Il regime pretende che si consumino soltanto prodotti italiani, e ciò che manca è prontamente sostituito: il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, il caffè con l'orzo. Nello stesso modo l'autarchia ha effetti anche sulla lingua: si bandiscono i forestierismi e sono italianizzati toponimi, cognomi e parole d'uso comune - così Courmayeur diventa Cormaiore e il sandwich diventa tramezzino. L'architettura razionalista di Terragni, Piacentino e Ridolfi comunica monumentalità ed efficienza e la pittura rilancia il ritratto e il genere storico che, secondo Margherita Sarfatti, devono avvicinarsi a un ideale di grande arte leggendaria. Nel quadro di questo ritorno all'ordine si predilige la figuratività, sebbene non avvenga un'esplicita messa all'indice delle avanguardie come accade con l'“arte degenerata” in Germania, e sono rilanciati i modelli tematici del primo Futurismo: l'azione, il vigore, la velocità, la guerra. Il regime, poi, intuisce tutte le possibilità del medium-cinema come strumento di costruzione del consenso: nel 1924 è fondato l`Istituto Luce, nel 1932 la Mostra del Cinema di Venezia, nel 1935 il Centro Sperimentale di Cinematografia, nel 1937 Cinecittà.
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Accenni di politica estera e leggi razziali
Nel corso degli anni '30, in una prima fase diplomatica, il Duce mira a consolidare la pace con il vecchio continente, si avvicina al partito conservatore britannico e si guadagna la stima degli Stati Uniti, che presto erogano ingenti aiuti economici. A stabilizzazione avvenuta, Mussolini vuole portare il Paese in primo piano nella scena mondiale. Questo comporta la necessità di esportare le eccedenze demografiche in nuovi territori, vetrine in cui affermare la propria supremazia e importanti retrovie in caso di conflitto. Nel maggio del 1936, dopo la conquista d`Etiopia e la proclamazione dell'Impero, il regime è all'apice della popolarità. Mentre l'opinione pubblica italiana è rapita dalla narrazione del posto al sole, della liberazione degli abissini dalla schiavitù e della rinascita dell'Impero Romano, la campagna d'Etiopia viene condotta senza risparmio di forze, fra cui l'uso di armi chimiche come il fosgene e l'iprite, già allora bandite dalla Convenzione di Ginevra. È in questa seconda fase che la deriva totalitaria si fa sempre più stringente, e il Duce inizia ad interessarsi alla questione della razza.
Nel 1937 il governo italiano promulga le leggi razziali per sanzionare i rapporti d'indole coniugale fra cittadini e sudditi delle colonie ed evitare il madamismo. Simbolicamente, se fino a questo momento l'inno dei coloni italiani era stato “Faccetta Nera”, il regime fa ora circolare una nuova versione della canzone, dal titolo “Faccetta Bianca”. Uno dei versi recita: «Faccetta nera, per carità!… / solo la bianca è la regina di beltà». Nel 1938 Mussolini dichiara: «Occorre una chiara coscienza razziale, che stabilisca non solo delle differenze, ma delle superiorità nettissime».
Mentre in edicola si acquista la rivista La difesa della razza, il governo inizia a schedare professori, studenti e dipendenti pubblici ebrei. Gli ebrei stranieri sono espulsi. Molti erano stati gli ebrei influenti ad opporsi alla campagna d'Etiopia e all'intervento nella guerra civile spagnola. Il 14 luglio 1938 il manifesto “Il Fascismo e i Problemi della Razza” è pubblicato sul Giornale d'Italia. Vi si proclama l'esistenza di razze “grandi” e “piccole” e la necessità che quella “italiana”, prevalentemente ariana e invariata dai tempi dei Longobardi, sia preservata. La "questione ebraica" sarà legittimata da una serie di regi decreti promulgati fra l'estate e l'autunno dello stesso anno.
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L'alleanza con Hitler e la Seconda Guerra Mondiale
Dal 1938 in Europa si respira aria di guerra. Adolf Hitler ha annesso Austria e Sudeti e con la conferenza di Monaco ottiene il lasciapassare per la conquista della Cecoslovacchia. Mussolini cerca di tenersi al passo e nell'aprile del 1939 conquista l'Albania, che con la Costituzione approvata a Tirana il 12 aprile diviene Protettorato Italiano. Il 22 maggio Italia e Germania firmano il Patto d'Acciaio, per molti, incluso il firmatario Galeazzo Ciano, una mossa suicida. Il 1° settembre 1939, con l'invasione tedesca della Polonia, ha inizio il secondo conflitto mondiale. Mentre Hitler occupa Danimarca e Norvegia e si sposta poi verso ovest attraversando il Belgio per colpire la Francia, in un primo momento il Duce dichiara l`Italia non belligerante; ma osservando la facile avanzata della Wehrmacht si convince presto di una facile vittoria nazi-fascista. Il 10 giugno del 1940, dal balcone di Piazza Venezia, Mussolini annuncia l'entrata in guerra. Nonostante la retorica infiammata, è ben consapevole che l’Italia non è economicamente e militarmente pronta. Saranno 3 anni di disastri militari.
Quando, il 10 luglio del 1943, gli anglo-americani sbarcano in Sicilia, il Paese è sull'orlo del collasso. La resistenza delle truppe italiane, ormai demoralizzate, si dimostra vana, e Mussolini si vede costretto a convocare il Gran Consiglio del Fascismo, nella notte del 25 luglio, per discutere la mozione presentata da Dino Grandi per restituire i poteri militari al sovrano. Dalle testimonianze dei presenti emerge come durante l'incontro Benito Mussolini fosse esausto, infastidito, ridotto all'ombra di se stesso. Sa di non poter più contare sull'appoggio degli italiani, che gli imputano la responsabilità di una guerra disastrosa; sa di aver perso il carisma. Spera ancora nell'appoggio del re, ma Vittorio Emanuele III gli comunicherà presto di volere Pietro Badoglio a capo di un nuovo governo. Mussolini è deposto e messo sotto arresto. Il 3 settembre 1943, a Cassibile, l`Italia firma una resa senza condizioni con gli alleati. L'esercito è abbandonato al suo destino, mentre Badoglio e il re rifuggono a Brindisi. I tedeschi hanno occupato nord e centro Italia. Si apre qui la fase più disperata della vita del Duce, quella della Repubblica Sociale.
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1943-1945. Resistenza e Caduta del fascismo
Mussolini è prigioniero a Campo Imperatore, ai piedi del Gran Sasso, mentre l'Italia, spaccata in due, è flagellata dalle rappresaglie naziste, con gli alleati che risalgono la penisola. Quattro giorni dopo l'armistizio scatta l`Operazione Quercia: un gruppo scelto di paracadutisti fa evadere Mussolini e lo porta a Pratica di Mare, da dove volerà alla volta di Vienna, e poi di Monaco. Mussolini dichiara, quasi rassegnato, che avrebbe preferito essere tratto in salvo dagli italiani. Prima di rientrare in patria, il 14 settembre, incontra Hitler a Rastenburg. Con l'istituzione, pochi giorni più tardi, della Repubblica Sociale Italiana, stato-fantoccio riconosciuto internazionalmente solo dalle forze dell'Asse, l'Italia rimane divisa da un confine non ben definito che si sposta sempre più a nord, fino ad assestarsi, dall'agosto 1944 all'aprile 1945, sulla Linea Gotica.
In questi anni, intanto, l'antifascismo è diventato Resistenza. I partiti sciolti dal regime si uniscono nel Comitato di Liberazione Nazionale, tra le cui file spiccano quelli che saranno i protagonisti della nuova Repubblica Italiana. Il 10 settembre 1943 in porta S. Paolo a Roma centinaia di civili antifascisti si uniscono ai militari per opporsi all'invasione delle truppe del Reich guidate dal feldmaresciallo Kesselring. Fra loro, a scagliare pietre ai tedeschi, anche Sandro Pertini. Da questo momento, nelle città e sulle montagne, si sceglie di resistere. Importante il contributo di molte donne, che scendono in campo a combattere una guerra anche privata, dopo vent'anni di regime che le ha volute solo mogli e madri. L'eccidio delle Fosse Ardeatine non sarà l'unica atrocità commessa dai tedeschi in questi mesi. Più perdono terreno, più le SS seminano il panico con rastrellamenti e rappresaglie indiscriminate contro i civili. Il 24 aprile del 1945 a Niguarda, periferia industriale di Milano, un gruppo di partigiani si scontra con i repubblichini in fuga. Gli scontri a fuoco si allargano a tutta Milano, che con Torino e Genova è l'ultima città italiana ad essere liberata. Quando riceve notizia che i tedeschi, a sua insaputa, stanno già discutendo la resa da più di una settimana, Mussolini si sente tradito per l'ennesima volta. Il 25 aprile inizia la ritirata tedesca dalle principali città del nord. All'alba del 27 aprile una colonna in ritirata verso il confine svizzero è intercettata dalla brigata Garibaldi nei pressi di Como. All'interno di quel convoglio, in un cappotto della Luftwaffe, si nasconde Benito Mussolini in compagnia dell'amante Claretta Petacci. Il 28 aprile i due sono prelevati e portati a Giulino di Mezzegra. Lì il Colonnello Valerio, nome di battaglia del comunista Walter Audisio, legge la sentenza: «Dal comando generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano». Nel pomeriggio dello stesso giorno saranno fucilati altri gerarchi fascisti catturati insieme all'ex Duce. Il 29 aprile i corpi di Mussolini e Petacci saranno scaricati e poi appesi in Piazzale Loreto. In quella stessa piazza, un anno prima, le brigate nere avevano ucciso 15 prigionieri antifascisti ed esposto i loro cadaveri per 24 ore. Corrado Mantoni, che diverrà di lì a poco uno dei più celebri conduttori televisivi italiani, annuncia in diretta radiofonica la fine della guerra.
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